Tra i buoni propositi per l’anno nuovo, quelli stile ‘di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno’, c’è il classico ‘mai più guerre’ (eppure ne sono in corso ben due, entrambe devastanti, una in Ucraina e una in Medio Oriente con relativo rischio allargamento), che attualizza il vecchio e sempreverde ‘pace nel Mondo’, ‘più benessere per tutti’, etc.
Frasi fatte che, però, non prevedono mai – chissà perché – il ‘basta liti’ nella politica interna. Segno evidente che la politica, almeno quella italiana, almeno a tasso di litigiosità, non riposa mai, neppure tra Natale e Capodanno.
Accantonati i buoni propositi, dunque, che tanto sono inutili, ecco una panoramica dell’ “anno che verrà” dal punto di vista politico-istituzionale. Liti annesse in testa.
Una cosa, però, è certa e meglio dirla subito, in premessa. Sul piano dei diritti civili poco o nulla arriverà dal lato delle Camere.
Ddl Zan affossato, maternità surrogata pure, al netto dei fondi già previsti in manovra per la famiglia (pochi), per i disabili (così così) e per la violenza alle donne (abbastanza: sono stati presi dai fondi per i parlamentari), non sono previsti o in previsioni leggi o proposte di legge, di iniziativa parlamentare o governativa, che facciano fare significativi passi in avanti a questi temi, in Parlamento…
Scampoli di lavori parlamentari di fine anno: alla Camera ci si prepara al varo finale della manovra
Innanzitutto va detto che, quest’anno, la pausa dei lavori parlamentari, iniziata il 23 dicembre e in vigore fino al 9 gennaio (un martedì), ha fatto andare di traverso le sante feste almeno a una categoria di politici, i deputati.

Infatti, se entrambe le Camere torneranno a pieno regime quel giorno, la sola Camera è stata convocata giovedì 28 dicembre, alle ore 9, perché era già stato inserito in calendario l’esame della legge di Bilancio.
Straordinari non richiesti e poco graditi, ma a causa del protrarsi dei lavori del Senato, arrivati a ridosso del 23 dicembre e in base a un accordo tra maggioranza e opposizione, il via libera alla manovra arriverà solo il 29 dicembre entro le 19, senza fiducia e in diretta tv. Solo dal 30 dicembre, appunto, scatteranno le ferie per l’Aula della Camera, in vigore fino al 9 gennaio.
Il giorno dopo, il 10 gennaio dalle 9.30, ci saranno le comunicazioni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, sull’Ucraina. Il calendario del mese sarà poi definito da una conferenza dei capigruppo il giorno stesso.
Già fissato l’appuntamento del 17 gennaio: “premier time” (cioè question time) col presidente del Consiglio Meloni. La quale, reduce da una brutta influenza che le ha fatto saltare anche la consueta visita ai contingenti militari italiani all’estero, si presenterà davanti alla stampa italiana il 28 dicembre per la tradizionale conferenza stampa di fine anno.
Saranno fuochi d’artificio tra domande dei cronisti, risposte puntute della premier e bilancio del primo anno di governo di centrodestra, con occhi aperti sul 2024.
L’attesa audizione di Giorgetti in commissione Bilancio
Ma dicevamo della manovra economica. Il 27 dicembre, neanche smaltito cenone e panettone, alle 11 è ripreso l’esame del testo in Commissione Bilancio a Montecitorio (mille gli emendamenti delle minoranze, 325 solo del Pd) che poi approderà in aula il 28, con via libera definitivo atteso per il 29 dicembre.
E pur senza nessuna modifica per evitare l’esercizio provvisorio, non vi sarà la mozione di fiducia, previo, appunto, accordo con le varie opposizioni. Sempre in commissione Commissione Bilancio è fissata lo stesso giorno ore 14, l’audizione del ministro dell’Economia Giorgetti. Chiesta dalle opposizioni per avere spiegazioni sul Mes e sul Patto di stabilità, il ministro, favorevole al primo (bocciato però dalla maggioranza), si limiterà a parlare, nel suo intervento, solo di legge di bilancio. Altri temi potranno essere affrontati solo dopo.

Per quanto riguarda un classico di fine anno, il Mille Proroghe, da cui rientreranno dalla finestra alcune norme uscite dalla porta della manovra, a cominciare dal Superbonus (FI vorrebbe farlo ripristinare, in parte), per esame e approvazione occorrerà attendere il 2024.
Quanto al Senato, una volta archiviata la sessione di bilancio con l’approvazione definitiva della manovra, ha già chiuso i battenti per il 2023 e i lavori riprenderanno, come per la Camera, il 9 gennaio, ma solo il 10 inizierà la discussione sul nuovo Regolamento.
Già fissato poi, per la settimana che avrà inizio con la seduta del 16, l’avvio dell’esame del ddl Calderoli per l’autonomia regionale differenziata e contestualmente del disegno di legge costituzionale, di iniziativa popolare, di modifica degli articoli 116 e 117 della Costituzione.
Gennaio mese ‘caldo’ per le Camere: Ucraina, piano Mattei, piano Albania, Milleproroghe
Ma quali saranno i ‘piatti forti’ della ripresa dei lavori, a gennaio? Il rinnovo del sostegno dell’Italia all’Ucraina nel conflitto con la Russia, ma anche la Giustizia e, soprattutto, le riforme a partire da quella sull’autonomia differenziata. Al rientro in aula, i deputati dovranno infatti subito cimentarsi con la conversione del decreto legge che contiene il Piano Mattei, che è stato già approvato dal Senato.
Il 10 (al mattino a Montecitorio e nel pomeriggio a Palazzo Madama) il ministro della Difesa Guido Crosetto terrà comunicazioni (cui seguirà il voto su risoluzioni) in relazione al sostegno italiano all’Ucraina: la nuova cornice legislativa degli aiuti (non solo militari, ma civili) del nostro Paese all’Ucraina sarà definita in tale occasione.
La settimana parlamentare a Montecitorio proseguirà, quindi con la proposta di legge sugli illeciti agroalimentari (che la maggioranza intende sopprimere) e con la riforma della prescrizione. Altra data da cerchiare in rosso nel calendario parlamentare di gennaio sarà quella di mercoledì 17, quando si terrà il primo “premier question time” che vedrà, come si diceva, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni impegnata a rispondere alle interrogazioni a risposta immediata dei diversi gruppi parlamentari.

In un calendario di lavori ancora non bene definito, in ogni caso, ci sarà da esaminare il decreto legge Energia, che deve essere ancora inviato al Senato, ed il disegno di legge di ratifica dell’accordo tra Italia ed Albania in maniera di migranti, su cui il governo ha chiesto e ottenuto dall’Aula la dichiarazione di urgenza, ma su cui si annunciano già scintille tra maggioranza ed opposizione.
Altro provvedimento in arrivo, infine, dovrebbe essere il decreto Milleproroghe che sarà varato dall’ultimo cdm del 2023. Infine, a gennaio sia alla Camera sia al Senato sono previste le comunicazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio sullo stato dell’amministrazione della Giustizia.
A caratterizzare la ripresa dei lavori d’Aula al Senato sarà, come detto, il disegno di legge Calderoli in tema di autonomia differenziata, ma si attende anche la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare che punta alla modifica degli articoli 116 e 117 della Titolo V della Costituzione. Si attende, inoltre, battaglia in commissione sulla riforma che punta ad introdurre il premierato.
Quanto all’Aula, a gennaio Palazzo Madama esaminerà anche la legge di delegazione europea (approvata dalla Camera), che contiene le norme contestate dai giornalisti sulla divulgazione delle ordinanze di custodia cautelare e, infine, il disegno di legge sul liceo tecnologico, uno dei cavalli di battaglia del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara.
Gli appuntamenti politici dell’anno che verrà
Ma il 2024 sarà un anno molto importante anche dal punto di vista politico e non solo parlamentare. Sarà l’anno delle elezioni Europee, e non solo: nel 2024 si voterà in cinque regioni e in 3.700 comuni, di cui 27 capoluoghi di provincia.
C’è Firenze, dove il centrodestra proverà a prendersi a sconfiggere la sinistra, orfana di Nardella; ma anche la Bari di Antonio Decaro, presidente Anci arrivato al secondo mandato da sindaco del capoluogo pugliese. Anche qua la destra proverà l’assalto, ben consapevole che nella partita parallela – quella delle Regionali – dovrà invece difendersi.

Perché delle 5 regioni al voto – Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria – tutte sono governate da esponenti di centrodestra. Per il governo, dunque, il 2024 sarà il primo e vero test per misurare il proprio consenso. Per la premier, sarà una prova decisiva.
A darle una mano le solite divisioni delle opposizioni, anche dove allearsi è condizione necessaria per la vittoria. Ma di litigi si parla anche nel centrodestra, diviso tra la riconferma dei governatori uscenti e il cambio di passo.
Le presumibili date di Europee, Regionali e comunali
Solo le date sono ancora incerte. Le Europee si svolgeranno tra il 6 e il 9 giugno (probabilmente il 9, una domenica). Sarà un test nazionale, il più affidabile per valutare lo stato dei partiti. Niente alleanze, in questo caso: alle Europee si vota con un proporzionale puro in cui anche i partiti di maggioranza si ritroveranno l’uno contro l’altro. I più piccoli dovranno superare la soglia di sbarramento al 4%.
La novità è che si dovrebbe votare in un unico giorno e che la data delle europee potrebbe essere accorpata a quella delle amministrative come chiede, tra gli altri, Salvini, per “risparmiare tempo e soldi”. Nel frattempo, le regioni ad aver scelto la data sono Abruzzo e Sardegna che andranno al voto rispettivamente il 24 febbraio e il 10 marzo.
Il difficile puzzle politico da comporre per le elezioni regionali
Sarà la Sardegna la prima Regione al voto nel 2024. La situazione è ancora incerta: la corsa del governatore uscente, il leghista Christian Solinas, non è scontata. L’accordo nel centrodestra non è ancora stato siglato e Fratelli d’Italia spinge per piazzare uno dei suoi. Pesa il cambio dei rapporti di forza tra i partiti di maggioranza rispetto a quando fu incoronato Solinas e, soprattutto, il consenso – scarso, è il timore – su cui poggia quest’ultimo.

Dalla parte opposta del campo non se la passano meglio. Perché se il centrodestra finirà per convergere, il centrosinistra si è già spaccato sulla candidatura della pentastellata Alessandra Todde. La vicepresidente del M5S è riuscita ad incassare il sostegno del Pd, ma – manco a dirlo – l’accordo ha provocato una frattura tra i dem. Bene che vada sarà una corsa a tre: Solinas, Todde e Renato Soru, fondatore di Tiscali nonché presidente della Sardegna per il Pd dal 2004 al 2009.
La sua richiesta di primarie è caduta nel vuoto, così ha annunciato la sua candidatura e ha lasciato il Pd sbattendo la porta. Lo ‘scambio’ tra Pd e M5s prevede una candidatura dem in Piemonte, ma qui tra i dem si litiga. In lizza per la candidatura alla presidenza ci sono la fedelissima di Elly Schlein, Chiara Gribaudo, il consigliere regionale Daniele Valle e l’outsider Guido Saracco, rettore del Politecnico. Il sostegno dei 5s è in aria.
In Abruzzo, invece, c’è già un candidato di tutto il fronte progressista: Pd, M5S, Azione e Italia Viva. Un unicum al momento, che porta il nome di Luciano D’Amico, ex rettore dell’Università di Teramo. Sarà lui a sfidare l’uscente, Marco Marsilio, fedelissimo di Meloni e unico esponente di FdI finora candidato alle Regionali.
Anche in Basilicata e in Umbria, salvo imprevisti, saranno ricandidati gli uscenti: il lucano Vito Bardi, azzurro già blindato da Antonio Tajani, e Donatella Tesi della Lega, mentre nel centrosinistra la situazione è ancora incerta.
Infine, andranno al voto anche 4 mila comuni, di cui 27 capoluoghi di provincia e 6 di regione (Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza). La data è ancora incerta, ma si fa largo l’ipotesi dell’election day il 9 giugno.